martedì 29 settembre 2015

COME TRASMETTERE IL PENSIERO GRAZIE A UN COMPUTER

UN NUOVO ESPERIMENTO HA PERMESSO DI METTERE IN COMUNICAZIONE A DISTANZA I CERVELLI DI DUE PERSONE, E DI FARLI COLLABORARE PER LA SOLUZIONE DI UNA SERIE DI QUIZ

È possibile trasmettere immagini e pensieri da un cervello a un altro? Sembra materia per film e libri di fantascienza, ma la scienza oggi ci dice che si può fare. Più o meno. Un team di ricercatori dell’Università di Washington è infatti riuscito a mettere in comunicazione a distanza due cervelli utilizzando un apparecchio per l’encefalogramma (Eeg) per leggere le loro onde cerebrali, e un dispositivo per la stimolazione transcranica per trasmettere i segnali raccolti. Come dimostrato nello studio pubblicato su Plos One, due persone così collegate possono collaborare per risolvere uno speciale gioco di domande e risposte (una versione speciale del celebre gioco americano 20 questions), con oltre il 70% di risposte corrette.

Lo studio prende il via da una serie di ricerche precedenti, che avevano già dimostrato la possibilità di mettere in comunicazione due cervelli utilizzando un’apparecchiatura per l’Eeg, un dispositivo per la stimolazione transcranica (che permette di attivare dall’esterno specifiche aree della corteccia cerebrale utilizzando un campo magnetico) e un collegamento via internet.

Secondo i ricercatori di Washington, per poter parlare di un reale scambio di informazioni tra due cervelli, questi studi presentavano una seria limitazione: la mancanza di unacollaborazione cosciente tra i partecipanti.Nasce così il nuovo esperimento: “Il nostro è il più complesso esperimento di comunicazione cervello-cervello mai realizzato – spiega Andrea Stocco, uno dei ricercatori di Washington che ha sviluppato il nuovo studio – perché abbiamo utilizzato le esperienze consce, derivanti da segnali visivi, e richiede la collaborazione tra due persone”.In questo caso, a uno dei due volontari veniva fatto vedere unoggetto che l’altro partecipante doveva indovinare, utilizzando una lista di domande del tipo vero/falso, associate a una serie di possibili soluzioni. Il secondo partecipante doveva quindi scegliere una domanda, a cui il primo rispondeva sì o no concentrando l’attenzione su uno o l’altro lato di uno schermo. L’apparecchio per l’Eeg captava quindi le onde cerebrali di chi rispondeva, inviando un segnale all’apparecchio collegato all’altro partecipante, che tramite la stimolazione transcranica produceva un flash di luce nel suo campo visivo (fenomeno conosciuto come fosfene) solo in caso di un sì. Attraverso le risposte a tre domande, il ricevente doveva infine riuscire a risalire all’oggetto osservato dall’altro partecipante.Al termine dell’esperimento, le cinque coppie di volontari che hanno partecipato hanno totalizzato oltre il 72% di successo in una serie di 20 prove consecutive per coppia. Un successo dunque, da cui ora i ricercatori di Washington vogliono cercare di trarreapplicazioni pratiche. Tra le possibilità esplorate c’è per ora quella di utilizzare una sorta di tutoraggio cerebrale per trasferire segnali da un cervello sano in quello di pazienti che soffrono di disturbi dello sviluppo o disfunzioni neurologiche dovute a incidenti o ictus.

Un’altra possibile applicazione potrebbe essere il trasferimento distati cerebrali, inviando per esempio segnali dal cervello di una persona sveglia a quello di una assonnata, o di uno studente concentrato a quello di chi soffre di sindrome da deficit di attenzione e iperattività (Adhd). “Immaginate do avere un ragazzo che soffre di Adhd e uno sano”, spiega Chantel Prat, altro ricercatore che ha partecipato allo studio. “Quando lo studente sano presta attenzione, il cervello di quello che soffre di Adhd potrebbe entrare automaticamente in uno stato di maggiore attenzione”.

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