mercoledì 16 dicembre 2015

POSSEDERE IL TEMPO: PROGETTI DA BRIVIDI DAL PENTAGONO

Pubblichiamo un articolo riguardante soprattutto H.A.A.R.P.: sebbene il testo non aggiunga informazioni nuove, è uno spaccato chiaro ed efficace di alcuni sinistri “progetti” militari. Repetita iuvant.



Ed ora… una sigla oscura e minacciosa, OTW, Owning the weather.

Possedere il tempo (sotto il profilo meteorologico)… parole che fanno venire i brividi. Eppure questo è diventato da anni il “credo” del Pentagono, sempre a caccia di sistemi che offrano una maggiore letalità da contrapporre ai suoi nemici.

Da più di quarant’anni gli Stati Uniti incoraggiano la ricerca di ciò che è stato descritto come “modificazione del clima per scopi benefici”… anche se, in realtà, è per un usi bellici. Il capo di stato maggiore della U.S. Air Force, generale Thomas D. White, durante il meeting consultivo presidenziale denominato “Weather control”, dichiarò con fermezza che “possedere il tempo costituiva un’arma molto più potente della bomba atomica”.

A prima vista, certo, l’idea di rendere fertili le zone aride, potrebbe sembrare la porta del paradiso: i popoli che da secoli si sono avvicendati nei deserti, rispettosi dell’acqua nascosta in profondi pozzi, arsi dal sole e dalla sabbia rovente, potrebbero avviare una nuova era di benessere con queste tecnologie che consentono di modificare gli eventi meteorologici a loro favore sul pianeta. La realtà è ben diversa. […]

Possedere il clima non è una semplice arma, ma è soprattutto un “sistema” per la distruzione di massa. Fabio Mini, Generale di corpo d’armata, già capo di Stato maggiore del Comando N.A.T.O. per il Sud Europa, ha guidato il Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani, oltre ad essere stato comandante delle operazioni a guida N.A.T.O. nello scenario di guerra del Kosovo. A proposito di controllo del clima, Mini ricorda che gli esperimenti militari per alterare la ionosfera incominciarono a metà degli anni ‘50 del secolo scorso. All’epoca, gli Stati Uniti fecero esplodere tre ordigni atomici a fissione nucleare nella parte inferiore della fascia di Van Allen ed altri due a fusione nucleare nella parte alta dell’atmosfera, provocando ampi buchi nella ionosfera. Questi strappi oggi pregiudicano il sistema che ci protegge dalle radiazioni provenienti dal cosmo. La comunità scientifica protestò, finché Washington non sospese gli “esperimenti”. Peccato che i Sovietici abbiano ritenuto opportuno, dal canto loro, avviare “sperimentazioni” analoghe. […]

Alcuni documenti della C.I.A., ormai declassificati, testimoniano come negli anni della guerra in Vietnam, gli Stati Uniti con l’Operazione Popeye, prolungarono la stagione monsonica sulla Cambogia inseminando le nuvole con l’agente Orange. Le piste dei Vietcong diventarono così fangose da impedire loro di spostarsi. [...]

Il sistema H.A.A.R.P. (High Frequency Active Auroral Research Program), finanziato dal Pentagono è in grado di inviare onde radio nella ionosfera, riscaldandola e causando volutamente delle perturbazioni, simili a quelle provocate dalla radiazione solare. Il motivo? Si dice “per studiare quanto queste influiscano sulle comunicazioni a breve e a lunga distanza”. I riscaldatori ionosferici possono determinare, però, interruzioni sulle reti elettriche, sul pompaggio degli oleodotti e influire sui fenomeni naturali per mezzo di onde radio.

Per questo progetto è stata costruita in Alaska (nella località di Gakona) una base militare in cui sono stati installati circa 200 piloni su ognuno dei quali si trova una coppia di antenne per la banda bassa e per la banda alta: le antenne sono in grado di trasmettere onde ad alta frequenza fino ad un’altitudine di 350 km. Le onde possono essere “lanciate” contro la ionosfera e/o deviate verso zone strategiche del pianeta. Come spesso succede, l’operazione si veste di nobili scopi: lo studio della ionosfera e lo sviluppo di nuove tecniche radar che rendano possibili radiografare la litosfera in modo da rilevare armi o bunker a decine di chilometri di profondità… Un’innocua stazione scientifica, insomma.

Fonte: italiapost

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