domenica 25 dicembre 2016

BERLINO, TUTTO CHIARITO. ANZI, NO




























Ora appare tutto chiaro: sappiamo chi ha compiuto la strage di Berlino e sappiamo che non può più nuocere, grazie alla professionalità e al sangue freddo dei poliziotti italiani. Appare ma lo è davvero?

Come sapete, il mio filtro interpretativo è rappresentato dalla comunicazione: analizzando le notizie che escono sui media si possono cogliere incongruenze, buchi nella narrazione, talvolta vere e proprie contraddizioni. Anche questa volta non tutto quadra.

Innanzitutto, l’eroica resistenza dell’autista polacco. Ricordate?
Cito il Corriere della Sera:



Una lotta fino all’ultimo respiro per evitare la strage. L’autista polacco era ancora vivo quando il tir ha investito la folla tra le bancarelle del mercatino di Natale: avrebbe tentato di tutto per deviare il camion. Lukasz Urban «ha combattuto fino all’ultimo» con l’attentatore nella cabina del suo tir per scongiurare la carneficina di Berlino, rivela la Bild, citando fonti investigative. «Ci deve essere stata una lotta», ha riferito uno degli inquirenti al tabloid tedesco. Il terrorista «ha colpito più volte con un coltello» il 37enne polacco a cui aveva rubato il tir. Il camionista «si sarebbe aggrappato al volante» cercando di deviare il veicolo: voleva impedire in tutti i modi al mezzo di schiantarsi tra le bancherelle. Sarebbe dunque stato «ancora in vita, nella cabina, al momento in cui il mezzo ha investito la folla». Poi quando il tir si è fermato, l’attentatore lo avrebbe ucciso con un colpo di pistola e sarebbe scappato, secondo la ricostruzione della Bild.

Notate bene che a passare la notizia alla Bild, sono imprecisate fonti investigative, secondo le leggi dello spin. La ricostruzione, però, appare dubbia. Se L’autista, un omone che pesava 120 chili, si fosse davvero aggrappato al volante, il Tir avrebbe sbandato o perlomeno avrebbe proceduto a zig zag. Invece non c’è nessuna testimonianza in tal senso e dall’unico filmato a disposizione si vede il Tir che procede dritto e ad alta velocità, schiantandosi sulle bancarelle. Inoltre è difficile immaginare come un terrorista posso lottare furiosamente con un autista nerboruto, colpendolo più volte a coltellate, e contemporaneamente guidare un Tir mantenendolo in strada. Amri era decisamente un superuomo oppure non è andata come ce l’hanno raccontata.

L’autista è stato senza dubbio ucciso al termine di una violenta colluttazione ma ovviamente prima dell’attentato. E l’ipotesi più probabile, come ho scritto dalle prime ore, è che Amri non abbia architettato questa operazione da solo. Ipotesi che ora viene formulata anche dagli inquirenti: “Non era un lupo solitario”, cito ancora il Corriere della Sera.

La seconda colossale anomalia riguarda il ritrovamento a bordo del documento di identità di Amri. Anzi, come rivela lo Spiegel, del portafogli e dello smartphone. Deve essere stato un personaggio davvero curioso questo Amri, uno di quei precisini, metodici, che quando dirottano un Tir, dopo aver ucciso a coltellate un autista da 120 kg, si sfila dalla giacca il portafoglio e il cellulare e li appoggia in cabina in un posto sicuro. O magari prima di ucciderlo.

D’altronde è normale che uno jihadista ben addestrato vada a fare attentati portando con sé un documento di identità. E vero per di più! Un terrorista che, badate bene, non è un kamikaze ma un uomo che dopo aver compiuto la strage voleva darsi alla fuga. E’ logico, ne converrete, che, avendo preparato per tempo l’attentato, non abbia pensato di procurarsi un documento falso. Ed è altrettanto logico che abbia lasciato quello vero nella cabina. Ma forse siamo noi che non capiamo: visti i precedenti di Charlie Hebdo e Nizza, evidentemente i manuali del terrore dell’Isis consigliano ai propri adepti di lasciare nei cruscotti di auto e camion almeno un documento di identità. E poi scappare. Per provare l’ebbrezza di essere l’oggetto di una caccia all’uomo da parte delle teste di cuoio di mezza Europa. Evidentemente il Califfo Al Bghdadi vuole così.

La terza incongruenza riguarda il “filmato” di Amri: il Corriere della Sera scrive che probabilmente è stato girato durante la fuga. Falso: è stato registrato nei giorni precedenti, come scrivono correttamente La Stampa e La Repubblica. Ma al di là di questa gaffe, in realtà non è un videotestamento né risulta essere particolarmente significativo. Appare, piuttosto, come una scontata farneticazione di un aspirante jihadista; più una bravata che l’annuncio di una strage, visti i criteri comunicativi dell’Isis che non perde occasione per impressionare, spettacolarmente, il pubblico. E, ancora una volta, bisogna chiedersi: chi l’ha diffuso?

Mi fermo qui e formulo alcune domande.

La prima: perché uno spin doctor tedesco si è inventato la storia, molto suggestiva, dell’eroica resistenza dell’autista “che ha cercato di evitare la strage”, passandola alla Bild?

La seconda: siamo sicuri che Amri abbia fatto tutto da solo? La risposta per me è scontata ed è un chiaro no. Aveva dei complici.

La terza è la più delicata: è così assurdo pensare che gli “amici” di Amri abbiano volutamente tradito il proprio uomo, facendo in modo che le responsabilità cadessero solo su di lui? Insomma, che l’abbiano “bruciato” facendo trovare il suo portafogli e il suo cellulare? No non è assurdo. E peraltro spiegherebbe la strana fuga di Amri: da Berlino a Chambery poi a Torino poi a Milano e infine a Sesto San Giovanni, muovendosi in treno senza documento d’identità.

Non sono le mosse di un terrorista che ha pianificato la propria salvezza, sembrano piuttosto quelle di un uomo improvvisamente disperato che cerca un amico di cui fidarsi dopo aver scoperto di essere stato abbandonato dalla sua “rete”.







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